Arte,  Capraia

Capraia in canto

Di Silvano Panichi, illustrazioni di Rossella Faleni

Omaggio all’ultimo scoglio dell’Arcipelago Toscano

In vendita presso l’Agenzia Viaggi Parco a Capraia presso il Palazzone

Vedi anche: https://www.capraiaweb.it/video-silvano-panichi/

CAPRAIA IN CANTO

1

Spunta dall’onda, come scoglio duro

Quasi a cercar di dare un morso al cielo

da levante appare un monte scuro

Ma se presso ti trovi e scansi il velo

Delle leggere nebbie di salmastro

Come un teatro ove casca il telo

Ecco apparir colori d’alabastro

Viola, ori, verdi, blu marini

Tenuti insieme da un divino nastro

E se ancora un poco ti avvicini

Quei profumi, quella divina coltre

Di mirti, di lentischi e rosmarini

Ti bloccano la via e non vai oltre

Perché già sei arrivato in quella cima

Che la bellezza appare da ogni parte

E alla tristezza la bellezza mima

Danzando forte getta via lo strazio

E libero ti lascia abbracciar quel clima

luci e venti che pienano lo spazio

E voci di gabbiani e voli arditi

Che l’animo ti pare alfine sazio

E gli occhi chiudi e t’appaian miti

E mostri, eroi, navigatori antichi

Con voci, grida, suoni mai uditi

Che nel pensier t’assalgon mille intrichi

E scivola e s’annebbia il tuo presente

Con leggerezza, e più non t’affatichi

Ma ti monta una forza, seducente,

Che par ti dica: “ecco sei arrivato”

Nel luogo dove inizia il tutto e il niente

2

Or giunta è l’ora di posar le ossa

E mirar dall’alto quel che pria era a lato

Accanto a un pino dalla testa grossa

Lanciai lo sguardo e il cuore già inebriato

Intorno a me, e tutto il corpo sporgo

Da Bellavista, così che fu chiamato

Quel ripiano che svetta sopra il borgo

Che il nome prima avea Della Fica.

E di sicuro per pudor ci scorgo

mutar quel nome, quella cosa antica,

Come mostrar che l’obiettivo oggi

Guardar non è la luna, ma le dita

Quant’è bello mostrare quel che sfoggi

Perdersi dietro all’ombra e al finto vero

Che vera vita in uomo non alloggi.

Tornando ai colori e non al nero

Riempio lo sguardo di un bel blu marino

Che tutt’intorno rende più leggero

Par che il cielo duelli col salino

mare e nubi s’annullino in abbracci

Come corpi felici dopo il vino

“Io porto il vento, tu l’angoscia scacci”

“Io porto l’onda, tu le bianche ali”.

Ed io godevo di quegli strani lacci

Ch’azzurri uguali dicean cose reali,

E quella voce d’acqua e d’aria mista

E fuoco e terre alzando dai fondali

Dettero vita a un’isola mai vista

Da uomini, animali, dèi e titani

Dell’orrore diffuso, antagonista.

3

Eran lontani, tempi assai distanti

Milioni d’anni, che ad un sol pensiero

Gli organi del corpo son tremanti

Tempi che il fuoco, l’aria, e dico il vero

Lottavan tra di lor, al par di Dei

E l’uno ardeva e non facea mistero

Della lotta imperiosa contro lei

Che dominava i venti e le tempeste

E questa guerra, che non ha trofei

Fa nascere la pietra e le foreste

Spinge dall’acqua roccia, fango e ghiaia

Tra fumo, lampi, lava, e in quel celeste

Sorge dall’onda un’isola, una baia

Che par che dica – eccomi son nata

Ora è niente, ma poi sarò Capraia -.

“E ti par poco”, commentò un’orata

Che passava di lì, quasi per caso

E dall’evento un po’ era abbagliata

“Il mare tuo vivrò, lo dico a naso,

Ma tu ferma i vulcani, fai che si possa

Come arcobaleni ai nani il vaso

Riempir lo scoglio, nella sua terra smossa

Di piante, bestie, odori e meraviglie

Che io sarò contenta e un po’ commossa”

E la bestia raggiunse polpi e triglie

Delfini, seppie e giovani sirene

Crearon tutti insieme figli e figlie

E questo sotto, mentre sopra viene

Riempirsi il suolo di giovani famiglie

D’animali, di fiori e nuove scene.

4

Ma facile sarebbe il bel narrare

il perdersi nei tempi e nelle storie

Che visse quello scoglio in mezzo al mare

peso è il libro che scrive le memorie

Di mille e mille pagine di gloria

Che liete renderanno il cantastorie

Ma il tempo stringe, è cosa obbligatoria

Milioni d’anni e il tempo che ha vissuto

Quel Sasso in mezzo al mare, quella scoria

Riassumere convien. É più l’acuto

Che colpisce la mente, l’intelletto

Che mille note, mille ogni minuto

Nel riassunto, se poco ci rifletto

Come fila di corpi in un corteo

Genti d’ogni specie, ogni dialetto

Vedo sfilar, dal nobile al plebeo

L’etrusco Lucumone sacerdote

Il greco, il cristiano ed il giudeo

Il romano, che in quelle terre vuote

Ci fece scalo e legna per le navi.

Poi umani di terre più remote

Pirati levantini e i loro bravi

Che presero le genti di quel Sasso

Per terre barbaresche farne schiavi

E Cenobiti asceti a lento passo

Silenti e attenti nella meditazione

Rizzaron chiese senza gran fracasso

E genti còrse, d’ogni condizione

Signori genovesi e della costa

Nell’isola scopriron perfezione

5

Ma più di tutti un canto va levato

A chi lavò lo Scoglio col sudore

Agli uomini, alle donne, a chi ha provato

A lavorar la terra con amore

A chi con mare gonfio e prepotente

Gettava reti senza aver timore

A chi spostava pietre, quella gente

Che costruiva piste e mulattiere

Una casa, un paese, su dal niente

Vivere insieme è dura e le maniere

Degli altri da accettare è faticoso,

Viver ad altri stretti fa cadere

Chi il bello non lo vive da curioso

Chi non tremar si sente ad un tramonto

Chi d’esser pensa il solo bisognoso

E ad aiutare gli altri non è pronto

Ma lo splendor di mari e di fondali

L’aulente brezza che non ha confronto

Dell’Isola l’incanto senza eguali

Colpiscono forte, van giù nel profondo

Rendendo amici omini e animali

E par che ognuno dica a tutto tondo

“Un Dio gentile, mescolò per caso

Le meglio cose ch’eran dentro al mondo

Omini, foglie, fiori dentro a un vaso

E le lanciò dal cielo sulla Roccia

Così creando in mar novel Parnaso

Per noi adesso, nuova vita sboccia

Lavoreremo insiem, al che si possa

Felice in terra e mar fare ogni goccia”

6

Così pensai sdraiato sotto al pino

L’Elba mirando, l’onde e Montecristo

Quando improvviso un salto di delfino

Scacciò l’antico, quel che avevo visto

Immagini di vita, del passato

Di questo strano incontro, non previsto

Rizzandomi da terra presi fiato

E cominciai a marciar lungo i sentieri

Che l’uomo e la natura avean creato

Son erte vie che scacciano i pensieri

Che di silenzi e aromi fan beato

E angosce e affanni rendono stranieri

Così, il mar dietro di me lasciato

A scalar mi ritrovai quell’aspro monte

Che Arpagna il nome, certi avean dato

E in cima un Cristo apre all’orizzonte

Con braccia aperte e par che dica lieto

“Venite, su, che io vi faccio ponte

Venite a rimirar questo frutteto

A destra un lago, anzi uno Stagnone

A manca scendi e scoprirai il segreto

D’antica torre messa a protezione,

Davanti a me due coste stan di fronte

L’una straniera, ma solo per nazione

L’altra che lesta scivola dal monte

E arriva tra licheni dentro a un faro.

Così le braccia apro e come fonte

Su questo suolo, a me prezioso e caro

Spargo liquor di gioia e di bellezza.”

Così parea dicesse, forte e chiaro!

7

Il bianco dio mi spinse a settentrione

In un pianoro prima del laghetto

E in quella pace m’apparì un muflone

Spuntando lesto e attento da un boschetto

Dette un’occhiata e poi girò la testa

Sparendo con un salto ed un balletto

Poi dei gabbiani vennero a far festa

Con gridi acuti, striduli e infantili

Ed io m’incamminai lungo la cresta

Sfiorando gli asfodeli erbe gentili

Lo specchio d’acqua m’apparì davanti

Ranuncoli fioriti, bei profili

E in mezzo a lor le immagini eleganti

Delle bianche montagne lì riflesse

Voglia gli vien, davanti a questi incanti

Di starsi il viaggiator, come se avesse

Necessità di pausa, d’intervallo

E diventar natura lui potesse

Ma io salii, uscendo dallo stallo

Tra monte Rucitello e monte Penne

Dove davanti a un mare di cristallo

Sta Capo Corso che indica solenne

Il continente, quasi a dire “attenti!

La storia noi sappiamo come avvenne

Ma còrsi siamo, forti combattenti,

Sinceri amici dall’animo robusto

Di libertá e orgoglio siamo ardenti”

Per non rischiar gli urlai “certo è giusto!”

E il bel cammin ripresi oltre la punta

Scansando un rovo, un’erica, un arbusto.

8

Non era certo facile il tragitto

Ché l’occhio si perdea dentro quel regno

Con bacche e fior da rimirar nel fitto

La vista allor non dette più sostegno

Ai piedi miei e caddi malamente

Tornare dritto chiese un certo impegno

In mezzo al cisto, molto lentamente

Provai la gioia del tornare eretto

E a camminar tornai comodamente

Presto arrivai nel luogo che era detto

Casa di pena o di penitenza

Laddove il reo dovea star costretto

Per quanti anni diceva la sentenza

Non solo sbarre e ceppi alle calcagna

Ma pria di far tornare l’innocenza

La terra lavorar nella montagna

“Se pena devo espiar meglio all’aperto

Che nella cella chiusi ci si lagna”

Ma al carcere oramai il tempo ha inferto

Stesso dolore e stesso deprimento

Di quelli che il tormento hanno sofferto

Le vecchie mura lanciano un lamento

“Dateci vita nuova o siam spacciate,

Che la speranza sia nuovo alimento”

Come le costruzioni ebbi lasciate

La sagoma m’apparve del Paese

Le case alla Fortezza allineate

E giù dal basso, dopo le discese

Lentischi a lato, mirti e grandi pini

S’apre la baia e il porto, nel turchese.

9

In fondo a un vado, un nome che ci porta

A immagini d’Oriente, a tempi andati,

Sta una chiesetta gialla che conforta

Quei che dal mare gonfio son tornati

Immagini di navi in mezzo all’onda

Ira di acque e venti incontrollati

Perimetro di quadri, che circonda

Un sobrio arredo, amabile scenario

E il legno pur sbattendo, non affonda

Attorno a lei, a farle da sipario

Palme discrete e d’oleandro fiori

E sottoterra, che è straordinario

L’antica villa, ed i capolavori

D’un nobile romano a cui piaceva

Passare il tempo con i pescatori

Alzai lo sguardo su quel che difendeva

Dalle razzie pirate gli innocenti

Quella salda Fortezza respingeva

Palle di piombo e mori combattenti

Sta ancora lá, ma adesso vive in pace

Spunta dal tufo e dai suoi palmenti

E guarda il mare in posizione audace

Intorno a lei ci sono cento case

Di cento forme e di un color vivace

Con cento strade di profumo invase

Si snodano, s’intreccian son contorte

Trovi l’altezza, ma non hai la base

Ma logica ce n’è se sono storte

Vicino al mare è una tradizione

E l’aria entra più fresca dalle porte

10

Ma qui m’occorre di gettare un freno

Alle terzine ed al mio racconto

Lasciando che lo stesso sia terreno

Per chi lo vive solo come acconto

Di quel che lui vivrà su questo Scoglio

Se l’animo sarà col core pronto

E dire ormai più nulla, questo voglio

Sulle altre belle cose che trovai

Del Dattero, un tramonto con orgoglio

E dei profumi intensi che lasciai

E ancor le cale battute dai marosi

La Torre della Teglia dove entrai

Quell’infinito, d’astri generosi

Quel ciel profondo che a guardar Capraia

Gli Dei e i Cherubini fan gelosi

E resti umani sparsi a centinaia

Vecchi Santuari, un coccio di vissuto

Lasciato qui prima che scompaia

Beato sia chi l’isola ha cresciuto

Chi s’è bagnato il corpo nel suo mare

In questa terra che come un imbuto

Solo le belle cose ha fatto entrare

Fornendo a tutto il mondo una certezza:

“Son ruvida, son sola, in mezzo al mare

Spesso mi scuote il vento, od una brezza

Spiagge non ho, su cui ti puoi sdraiare

E a volte agli altri mostro timidezza

Ma quando nel profondo vuoi entrare

Cercare del piacere l’armonia

Sulle mie terre provaci a volare”