Archeologia,  Capraia

La Venere di Capraia (Venere Dussol)

La Venere Dussol

Ai primi anni del ‘900 nella piana del Porto, dietro la Chiesa di Santa Maria Assunta, nella proprietà di Vincenzo Dussol, in occasione dello scavo di una vigna, alla profondità di 80-120 cm, vennero alla luce una serie di reperti marmorei tra cui una statua di Venere, una base modanata di colonna, un bassorilievo con un cavaliere ed un trapezoforo (sostegno per piccolo tavolino).

Pur non conoscendo il punto esatto del ritrovamento, è evidente l’associazione dei reperti con le strutture romane che verranno in seguito qui individuate, attribuite ad una villa maritima edificata tra l’età augustea e la prima età giulio-claudia e abbandonata agli inizi del II secolo d.C.

La statua della Venere, purtroppo rinvenuta acefala, priva delle braccia e degli arti inferiori al di sotto del ginocchio, cosiddetta “bagnante” nelle relazioni d’epoca, nella sua nudità velata dal panneggio che copre solo la parte inferiore del corpo, lasciando tuttavia il ventre completamente scoperto, può essere considerata una variante nell’ambito delle tante repliche romane dei vari tipi iconografici più antichi della Venere in collegamento con il tema dell’acqua, assai richieste per adornare gli ambienti termali, le fontane ed i  giardini delle ricche residenze. Forse per questo, alla proposta di vendita dei reperti da parte del proprietario Vincenzo Dussol alla Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria nel 1928, fu risposto che “per quanto di notevole importanza topografica” essi non erano “tali da interessare il patrimonio artistico dello Stato”.

Tuttavia, la Venere Dussol potrebbe rivelare molto sia nell’ipotesi ricostruttiva del corpo seminudo, ben tornito, accurato nelle proporzioni, sebbene inferiori al vero, e che appare muoversi in una leggera torsione del busto verso sinistra, sia nella interpretazione, nel caso di ulteriori indagini, delle strutture pluristratificate prossime all’area portuale antica e moderna.

In particolare, il restauro effettuato in occasione della mostra ha permesso di apprendere altre informazioni sulla statua che, fin dalle foto del 1928 presenti negli archivi della Soprintendenza, si mostra solo frontale, appoggiata al muro, nella posizione in cui rimarrà a lungo, fino, appunto, al trasporto nella Chiesa di sant’Antonio per il restauro e l’esposizione. Solo adesso è stato possibile vederne la parte posteriore e chiarire una serie di dubbi sulla sua datazione e funzione.

La statua sul retro appare appiattita; pur essendo rivestita interamente dall’himation, questo, pur ricadendo sinuoso sul fianco sinistro e panneggiato fino alla parte inferiore conservata, copre con pieghe appiattite uno spessore innaturale del corpo, assai ridotto, a riprova della funzione della statua, creata appositamente per essere ospitata in una nicchia, ove fosse possibile vederla solo di fronte. Anche le tracce di ferro ritrovate sulla schiena, piuttosto che alla giacitura potrebbero essere ricondotte ad un sostegno nella nicchia dove era esposta.

Il restauro ha permesso anche di ritrovare, sulla spalla destra, tracce di ciocche della capigliatura sciolta, tipica della Venere “Anadiomene” che, sorta dalla spuma del mare, sua origine in una delle varianti del mito relative alla sua nascita, ovvero dal seme di Urano evirato dal figlio Crono, si strizza i capelli per asciugarli.

La presenza delle ciocche di capelli spiegherebbe così la posizione del braccio destro, che, seppur mancante, in base alla frattura e alla posizione più alta della spalla corrispondente, appare essere sollevato in alto, a reggere, appunto, la capigliatura; il braccio destro alzato spiegherebbe anche la leggera torsione del busto, l’abbassamento della spalla sinistra e l’accorciatura del fianco sinistro laddove una frattura indica il punto in cui l’himation doveva appoggiarsi sul gomito del braccio piegato.

Le ciocche dei capelli, realizzate con il trapano, suggeriscono una datazione più tarda di quanto ipotizzato, probabilmente nel II sec. d.C.

Il restauro ha permesso anche di sfatare il mito della “statua greca” che troviamo in alcune citazioni passate; la statua è una copia romana  in marmo bianco saccaroide, verosimilmente lunense di provenienza apuana.

La Venere Dussol, che si presenta col corpo ben scolpito di una giovinetta libero dal panneggio che nelle copie romane è solito coprire la parte inferiore del corpo, richiama anche con la sua accezione di “Anadiomene” quella che doveva essere la sua funzione, ornamento di un edificio in relazione con l’acqua, forse un impianto termale approvvigionato dalle abbondanti risorse idriche disponibili nella zona del Porto.

Sarebbe interessante poter dimostrare che l’edificio in cui si trovava non era una villa privata ma un impianto termale pubblico, a servizio del porto, dove, nella sua accezione di protettrice dei naviganti, la statua potesse essere salutata alla fine di ogni viaggio.

Dott.ssa Lorella Alderighi

Funzionario Archeologo

MINISTERO DELLA CULTURA

Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno

La Statua sarà esposta al pubblico nella chiesa di S.Antonio per la prima volta dal 23 luglio al 2 novembre 2021